
Dall’altra stanza arriva la tua musica, colonna sonora delle nostre giornate.
È rap, trap, qualcosa che non conosco. Me la fai ascoltare e la spieghi, con la pazienza che si usa coi bambini che cercano di imparare le divisioni a due cifre.
Ti suona il telefono, ciao bro, non c’ho sbatti adesso, ci vediamo domani.
Le serie televisive, oggi anime giapponesi, domani documentari su Chernobyl.
I video che mi mandi sull’artico che si scioglie, le tigri che si estinguono, l’inquinamento che avanza.
La fiamma della politica che si accende, uno sguardo implacabile sugli adulti che ci dovrebbero guidare.
La tenerezza che sta nascosta, probabilmente nel fondo di quell’armadio che ti chiedo sempre di sistemare, capace di uscire quando sei fuori, con altri, lontano da noi.
Le incertezze su un futuro che ha sparigliato le carte, in un’età che dovrebbe metterne a disposizione un mazzo intero.
Le ansie e le fatiche, l’euforia per gli allenamenti di pallacanestro che riprendono e lo sconforto perché no, dovete aspettare ancora un po’ ragazzi.
Dovevi volare via, come si fa a questa età, più fuori che dentro, più altrove che a casa.
Invece resti appollaiato qui, perché il tempo si è dilatato e a questa tua adolescenza zoppicante hanno tolto le trasgressioni che mi sarei aspettata ed ero -forse- pronta ad affrontare.
Intanto ti guardo, dovresti abbassare la musica, ma va bene così.
Continuo a meravigliarmi dell’uomo che stai diventando, che si intravede sullo sfondo di una adolescenza da recuperare.
La recupereremo, bro.