La prima pagina de La seconda legge di Mendel, per chi volesse un assaggio.
Jordan
Mi chiamo Jordan e ho sedici anni. Devo il mio nome alla creatività dei miei genitori, Giorgio e Daniela.
Per il loro primogenito e per celebrare un grande amore hanno unito i loro due nomi in uno, sommando, togliendo, aggiustando.
Gli altri genitori scelgono un nome, i miei me l’hanno letteralmente cucito addosso: un nome su misura.
La realtà, come spesso accade, è meno romantica, e quando avevo dieci anni papà mi ha confidato – dopo qualche birra di troppo – d’avermi chiamato così in onore di un famoso paio di scarpe. Non aveva capito, o forse era solo troppo ubriaco per ricordare che Jordan era il nome di un giocatore di basket.
Comunque, per buona misura, sono andato a vedere i filmati delle partite e ho scoperto che quel Jordan era bravo, ma bravo per davvero; ho letto pure che è stato dichiarato più grande giocatore di pallacanestro di tut- ti i tempi, e mi sono sentito stupidamente fiero.
Le somiglianze, però, si fermano al nome, che per lui era il cognome, ma va bene lo stesso, perché io sono alto come una delle sue gambe e non centro nemmeno il cestino della carta a scuola quando mi annoio e faccio
qualche tiro. Di contro sono bravo a fare trucchi con le carte, me lo dicono tutti. Ho cominciato che avevo solo dodici anni, ho visto tutorial, fatto corsi, mi sono esercitato per ore. La magia è una compagna fedele che non ti lascia mai solo.
E poi, la gente. Lo stupore sulle facce, gli occhi spalancati per l’emozione. Amo stupire.”