Certo, non è una novità non vederlo, perché quando ti fidanzi con un viterbese nomade e pellegrino tocca farci l’abitudine a saperlo in Cina mentre tu sei sul lago Maggiore, a Las Vegas mentre fai la coda in tangenziale ovest, in cammino sperduto per la Spagna mentre stai su un treno il lunedi mattina presto.
Non siamo nuovi a un amore a distanza, col fuso orario al contrario e impegni familiari e lavorativi che a volte sembrano inconciliabili come l’acqua con l’olio.
Certo, siamo riusciti comunque a ritagliarci dei momenti di clandestinità, botte di romanticismo nel parcheggio dell’ipermercato a un metro di distanza, dove io porto lasagne e lui ricambia con chili di farina, momenti solenni alla rotonda con il dono di buste di lievito e l’implicita promessa di un amore eterno, ché certi doni sono per sempre.
Consegna di vaschette di gelato come spacciatori in periferia, attimi rubati alla certificazione tra l’andata e il ritorno del lavoro. Per questi momenti mi sono anche preparata con cura, un po’ come al primo appuntamento, coi capelli che hai messo tempo a pettinare per farli sembrare naturali, il trucco e il vestito che ti sta bene, pur nella certezza che un sacco di iuta non farebbe con lui alcuna differenza, poco interessato com’è alle estetiche questioni.
Certo, ci sono le chiamate, le videochiamate, i messaggi, i pensieri, la presenza pur nell’assenza che ho imparato a conoscere negli ultimi anni.
Ma io voglio stare in un bosco la domenica mattina con lo zaino sulle spalle e lamentarmi perché non siamo andati all’Ikea, sedermi in un cinema buio dove so che mi terrà la mano per tutto il tempo come se avessimo quindici anni e questa cosa mi piace tantissimo, voglio dargli fastidio abbracciandolo mentre è concentrato e si tormenta la barba per un lavoro importante, voglio sedermi a tavola perché ha preparato il mio piatto preferito.
Certo, si può essere prossimi anche se distanti.
Ma se lo avessi saputo, un mese fa per salutarlo lo avrei stretto un po’ più forte, un po’ più a lungo.