“Mamma, mamma, mamma!”
“Amore che c’è? Perché piangi?”
“perché è morta…è morta…”
“Ossignur chi è morta?”
“È morta Nairobi, della Casa di carta, nooooooo”
“Piccola, hai finito di fare il plumcake che sistemiamo?”
“Sì, è in forno”
“Ma…questa bustina di lievito? È ancora intera”
“Ah, ecco dov’era! Che faccio, la metto su come zucchero a velo?”
“No che non si può, mannaggia. Ma…perché hai sgusciato cinque uova che ne servivano solo due?”
“Ma no, due le ho sgusciate, le altre le ho rotte”
“Mother, è ora di fare ginnastica. Vieni qui, cominciamo con cinque minuti di plank”
“Scusa?”
“Sì, cinque minuti di plank, dai che ce la fai, non sei mica così vecchia. Forse”
La mezzana inconsolabile per la morte di un personaggio della sua serie preferita.
La piccola che soggiorna nell’iperuranio, nel posto lasciato momentaneamente libero dalla sorella.
Il primogenito che mi sfida e io che ci casco, col risultato di fare colazione l’indomani con un oki task.
Qui più che un virologo serve uno psichiatra. Anche bravo.