“Bellissima, ciao! Ma quanto tempo! Tutto bene?”
“Ehm…si sì, tutto a posto. Posso avere un caffè?”
“Ma certo! Lungo in tazza grande, giusto?”
“Ehm…va bene”
“Ma allora raccontami qualcosa che non ci si vede da una vita! Certo che tu sei sempre uguale, come una volta”
“Posso avere un po’ di latte per favore?”
“Ecco il latte! Comunque alla grande la gara di settimana scorsa, eh?”
“Eh già”
“A proposito, ho visto tua sorella, mi sembra che stia bene”
“Scusa, devo proprio scappare, buona serata”
“Sì ma torna presto, mi raccomando”
C’è un bar, non lontano da dove abito.
Qualche anno fa il proprietario nonché barista ha deciso che io fossi qualcun’altra.
Da allora, sistematicamente, mi confonde con quest’altra donna dai capelli rossi, che beve caffè lungo in tazza grande, non è figlia unica e frequenta ogni fine settimana coi figli le gare di atletica.
All’inizio ho provato, timidamente, a fargli notare che stava sbagliando persona.
Niente da fare, il caffè lungo in tazza grande non me lo toglieva nessuno.
Nemmeno i commenti sull’ultima corsa a ostacoli o il risultato del salto in alto.
Mi sono quindi tenuta alla larga dal locale fino a stasera, quando sono entrata senza nemmeno pensarci, guidata solo da un primitivo bisogno di caffè.
Che, ovviamente, ho bevuto lungo e in tazza grande.