Il maggiore si aggira per casa spettrale, con occhiaie profonde e sguardo spiritato. Ha mal di testa, mal di pancia, il ciuffo scomposto e il sospiro pronto. È malato, anche se la diagnosi oscilla tra peste bubbonica e adolescenza grave.
È scontroso e coccolone, tra la vita e la morte, un momento esaltato e quello dopo spiaggiato.
Cerca una cura magica che lo rimetta in piedi e in forma per sabato pomeriggio, quando uno dei suoi idoli musicali farà tappa in città. Impossibile perdersi quattro ore di coda fuori dal negozio di dischi per quattro secondi, una fotografia e un autografo accanto al tuo mito indiscusso.
La piccola è felice e sorridente, passa la lingua sui denti davanti pregustando il momento -ormai imminente- in cui toglierà il doppio apparecchio e quello in cui addenterà un bidone di pop corn senza timore che le si incastri in tutto quel ferro che tiene in bocca.
La mezzana veleggia serena nel suo mondo, tra un’applicazione e un video, più raramente sullo studio e quasi mai su un libro. Si compiace di una schiacciata e per quanto riesce a saltare in alto, si cruccia per il tempo che non le basta mai e pianifica altre giornate mamma-figlia per il futuro.
La mamma corre e dimentica, si ferma e ricorda, riflette distrattamente sul fatto che non c’è mai requie, ma va bene così.
Perché ci sono giornate amare e altre da amare. Basta saperle riconoscere.
Che bello hai ragione
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