Lui è partito, sotto una pioggia scrosciante che si è fatta nevicata abbondante appena arrivati alla località di montagna prescelta.
È partito senza sci né Moon Boot, ché mamma gli ha insegnato a nuotare ma non a sciare.
È partito con un gran raffreddore e una bella emozione, nonostante sia un veterano dei viaggi in autonomia, cominciati col campeggio della terza elementare.
Oggi come allora, lui sorride e saluta con un cenno distratto e il sorriso soddisfatto di chi va ad esplorare il mondo, più interessato all’avventura che alla paura.
Oggi come allora le comunicazioni sono essenziali, sporadiche e pragmatiche.
Rapide note vocali tra una gita e una cena, che spaziano da “dove sono le ciabatte” (a casa, naturalmente) a “ti racconto una cosa epica: oggi sono svenuto, ma tranquilla, come è successo al mare, ti ricordi (come dimenticare, alle sei della mattina in spiaggia, io a camminare e lui con la bicicletta per vedere l’alba, lui che sviene a sette chilometri dal campeggio e un bagnino passato per caso che ci carica nella sua Smart, con la bici e un canotto, per riportarci al bungalow) un po’ di zucchero, quattro brioche ed è passato tutto”
E mentre le sorelle spiano le foto sui social per scoprire cosa fa il fratello con i suoi amici adolescenti, io mi godo l’insolita euforia di una casa tutta al femminile, l’appagante sensazione di un letto in meno da rifare e un piatto in meno da lavare, mi abituo ad aspettare più che organizzare, a far scoprire più che insegnare, a fidarmi più che preoccuparmi.
E quando le sorelle non guardano, a spiare le foto sui social.