But I didn’t shoot no deputy, oh no! Oh!
I shot the sheriff
But I didn’t shoot no deputy, ooh, ooh, oo-ooh
Yeah! All around in my home town…”
“Ah, Wily wily
Ah, Nari nari
Fumiamo i casini
Beviamo i problemi
Fammi un applauso con i piedi
Ora che sono ancora in piedi
Qua non ti ascoltan quando hai sete
Ti stanno addosso quando bevi
Habibi
Habibi, habibi, habibi
Habibi, habibi, habibi”
Io con la radio accesa, lui con un paio di enormi cuffie che fanno tanto deejay anni ottanta.
Ognuno che ascolta la sua musica, disprezzando silenziosamente quella dell’altro.
Fuori è buio, non sono ancora le sette, ma dal lunedì al sabato madre e figlio si dirigono in macchina alla fermata dell’autobus.
Anche io sono stata accompagnata da mio padre, quando andavo al liceo e abitavo lontano.
A papà piaceva molto cominciare la giornata insieme, poco importava se il suo lavoro cominciasse un -bel- po’ prima della campanella.
Mi lasciava al bar vicino alla scuola e proseguiva verso il suo posto di lavoro.
Io aspettavo lì ed è un miracolo che non sia diventata alcolista, malgrado oggi abbia una preoccupante dipendenza dai cappuccini con la cannella.
Il primogenito è più fortunato, e tutto sommato lo sono anche io.
In quei cinque minuti di macchina, due semafori e una buona dose di sonno, riusciamo a dirci come saranno le nostre giornate. A lagnarci del freddo e dell’interrogazione di chimica.
A sgridare -io- e a lamentarsi -lui- perché siamo sempre un po’ in ritardo.
A contaminarci con i rispettivi gusti musicali.
Poi io accosto dove non potrei, lui sorride chiudendo la portiera.
E un altro giorno comincia.