Fuori dalla scuola elementare, mattina presto.
Quell’attimo di quiete subito dopo l’ingresso, quando i bambini sono ormai in classe, i genitori in macchina e il marciapiede è libero.
Si sono incontrate lì e pochi passi dopo di sono accomodate nel tavolino d’angolo di un bar del centro.
Con due caffè davanti hanno trovato finalmente un momento per avvicinarsi, loro che si conoscono ma solo da lontano.
Lei con una cascata di ricci e un sorriso che sembra poter sistemare tutto.
Lei tanto bella ma con una simpatia che mette a tacere le gelosie femminili.
Lei che tutti conoscono e tutti salutano, forse perché spinge la carrozzina più colorata del paese.
Lei che ha tirato fuori dalla borsa il libro per avere una dedica, anche se forse l’autografo glielo avrei dovuto chiedere io.
Perché lei è una donna che ha capito.
Che ha attraversato il bosco buio della paura e della disperazione, quello dove i lupi sono cattivi e sembra non ci sia né luce né speranza.
Lei che da quel bosco non è scappata, ma è riuscita a cogliere i fiori.
Lo ha abitato, facendone un posto accogliente e sicuro per sé e per i suoi bambini.
Lo ha arredato, perché ci ha fatto pure costruire un bellissimo parco giochi dove tutti i bambini possono giocare, anche se le gambe non li sostengono e le braccia non li sollevano.
Lei che non ama i complimenti ma i racconti, che riesce a sorridere davanti agli strampalati regali di compleanno del marito, che sotto quei ricci ha ancora tante idee e progetti.
Per rendere quel bosco un posto buono per tutti.