Non ho mai avuto un buon rapporto coi numeri.
È sempre stata una mia difficoltà pensare che le persone potessero essere inquadrate e descritte con una cifra.
Le unità di misura non mi interessano.
Taglie, chili, centimetri e anni non mi raccontano una persona.
Mi sento vent’anni come sessanta, non capisco mai l’età delle persone e quando mi dicono di proseguire cinquecento metri non ho idea di quanta strada fare.
So che è necessario misurare ma io preferisco raccontare.
Sarà che mi trovo più a mio agio con le parole che con i numeri.
Sarà che sulle nostre teste aleggia un disturbo dispettoso che ogni tanto ti fa contare con le mani e usare la calcolatrice, e che rende le tabelline una sciagura e Pitagora simpatico come Voldemort.
Sarà che non ho mai dato importanza ai voti presi dai miei figli a scuola, predicando dalla prima elementare l’importanza dell’imparare e del comprendere, della curiosità nello studio, poi pazienza per i nove e dieci.
Ciò nonostante, fatte tutte le doverose premesse, a seguito della seguente conversazione whatsapp con il figlio primogenito, ho vacillato.
“Mother, tranquilla. La verifica di fisica non è andata esattamente come pensavamo. Ho preso 1”
“Scherzi, vero?”
“Sì, tranquilla. Ho preso 2”
“Scherzi, vero?”
“Sì, tranquilla. Ho preso 2.3:2”
“Scherzi, vero?”
“No. Ma tranquilla, mother”
Sarà.
Ma non riesco a stare tanto tranquilla.