“Oh Barbara, beata te, che hai tanto tempo per scrivere! Ah, potessi avrei già scritto un romanzo. Ma io sono un uomo perennemente impegnato. Paolo”
Eh già caro Paolo, beata me.
Che ho tanto tempo.
Il tempo delle attese fuori dal palazzetto e dalla palestra di ginnastica artistica, una scuola elementare e una media, dentro lo studio del pediatra, del dentista, dell’otorino e del dermatologo.
Alla fermata dello scuolabus, in un piazzale per il ritorno di una gita, dietro un vetro durante una lezione di nuoto. Seduta su una panchina al parco giochi, in cucina mentre giro il risotto, al lavoro quando non guarda nessuno.
La sera a casa quando la cacofonia diventa sinfonia: nel silenzio.
Beata me, che accosto nel primo posto utile quando mi prende l’urgenza di scrivere, quando una serie di parole si combinano nella mente e so che le devo ancorare su un foglio per non farle volare via.
Quando mi suonano al semaforo perché non mi sono accorta del verde.
Beata me, che uso ogni momento utile per scrivere e raccontare, sbagliare e cancellare.
Beata me, che ogni tanto mi preoccupo che finiscano le parole, poi sto nel mondo e le storie e le persone arrivano insieme.
Beata me, che un romanzo ancora non ce l’ho ma chissà.
Il tempo di un giorno è lo stesso per tutti, caro Paolo.
La verità è che scegliamo noi come riempirlo.