Ha il grembiule a quadretti bianchi e azzurri della scuola materna che sbuca sotto la giacca, il cappello peruviano multicolore calato sugli occhi, gli stivali da pioggia come se dovesse dragare un fiume. Ha la bocca sporca di sugo rosso ed è alto come lo sportello di un auto. Ed è proprio lo sportello della mia auto che picchietta lievemente ma incessantemente col suo piccolo ombrellino rosso di Saetta McQueen. Tuc, tuc, tuc. La madre, una giovane signora coi capelli scuri sopra e biondissimi sotto, se la racconta allegramente con una qualche amica al cellulare, davanti alla farmacia dove ho appena parcheggiato. Ignara che il suo erede si stia esercitando per diventare campione regionale di atti vandalici. Tiro giù il finestrino per non travolgere il piccolo vandalo con la portiera.
“Ciao, bambino. Puoi smettere di picchiettare l’ombrello sulla mia macchina per favore?”
“No. Tuc, tuc, tuc”
“Ehm…forse non hai capito. Ti ho detto che devi smettere. Così rovini la macchina”
“No. Tuc, tuc, tuc”
“Bambino, fallo sulla macchina di mamma”
“Maaaaaammmma!!!!!”
“E poi lui mi ha detto, cioè, che non se la sentiva di impegnarsi…che vuoi Filippo che la mamma sta parlando al telefono?”
“La signora mi sgridaaaa”
“Come? Cosa? Scusa Adele che ti richiamo dopo che ho problemi. Sì. Baci anche a Assunta. Ciao ciao ciao. Che succede?”
“Buongiorno signora, ho semplicemente chiesto a Filippo di finirla col prendere a ombrellate la mia macchina, ma non mi è stato granché a sentire”
“Tutto qui? Ah, e io chissà che mi immaginavo! Filì, sali in macchina che dobbiamo andare dalla zia che fa le unghie alla mamma”
È così dicendo si infila nel Suv, lascia salire davanti Filippo che mi guarda con un sorriso da un orecchio all’altro, senza ovviamente allacciargli la cintura. La pedagogista che abita in me valuta seriamente la possibilità di scendere e prendere a ombrellate il cofano della loro macchina, ma è meno veloce della signora, che parte decisa lasciando una scia di pneumatico sull’asfalto.