Arrivare dal lavoro di corsa, trovare parcheggio a così tanti chilometri dalla scuola che forse conveniva andare a piedi.
Portare a casa la figlia piccola e mettere su il pranzo, riprendere la figlia piccola e andare a recuperare i figli grandi, che tra pianole, cartelle, cartellette e borsa di ginnastica hanno bisogno di un passaggio. Tornare a casa a finir di preparare il pranzo, mangiare, raccontarsi, sistemare. Controllare i compiti e prepararsi agli infiniti spostamenti del venerdì pomeriggio, con poca differenza di orario l’uno dall’altro ma con molti chilometri tra una palestra e un palazzetto. Verificare che le borse siano pronte, che non manchino ginocchiere, calze, accappatoi e divise. Saltare in macchina velocemente senza far sotto il gatto e partire per il primo accompagnamento della giornata. Arrivare alla rotonda fuori casa e sentire la figlia mezzana esclamare
“Mamma, ma la piccola? Non dobbiamo portarla a ginnastica?”
Frenare di colpo, guardare nello specchietto e voltarsi per sicurezza. Fare inversione a u rendendosi conto di avere lasciato a casa la bambina da portare a ginnastica. Trovarla sulle scale furibonda, la giacca aperta e lo zainetto sulla spalla. Sentire per un quarto d’ora le legittime proteste della piccola abbandonata, giurare sulla giacca preferita che non accadrà mai più. Cospargersi il capo di cenere e preparare per cena delle lasagne riparatorie.
Certo, io lo spero che non accada più. Ma di doman non v’è certezza.