Mentre la mattina sei a scuola, durante l’ora di tecnologia con le proiezioni ortogonali e l’amico del banco accanto ti scrive cose su un bigliettino, io sono in macchina con la mia collega. Parliamo del lavoro, dei progetti, delle scadenze e dei fatti nostri.
Intanto che sei a pallavolo, nella palestra nuova, con compagne nuove e lo sport di sempre, coi calzoncini e le ginocchiere, io sono a fare la spesa e spingo un carrello. Con dentro la pasta e i biscotti senza zucchero, il detersivo dei piatti e le cosce di pollo, la lista stropicciata e il sacchetto giallo di un altro supermercato.
Sei seduta al tavolo della cucina, con la matita in bocca già tutta rosicchiata, l’impugnatura sbagliata e la pazienza scappata. Contemporaneamente ai tuoi compiti io son lì, all’altro capo del piccolo tavolo, dietro lo schermo del mio computer. Faccio asciugare lo smalto rosso scrivendo veloce una nuova storia.
Mentre, intanto, contemporaneamente. Amo le parole della contemporaneità. Definiscono i nostri mondi quando non siamo insieme. Siamo rette parallele che ci ripensano e dopo una giornata di equidistanza decidono di incontrarsi. Per anni, quando in casa giravano ancora ciucci e pannolini si camminava tutti in fila indiana su un’unica linea. Poi siamo cresciuti ed è diventata stretta e scomoda, ci toccavamo dentro e non c’era spazio per i mondi di tutti.
È la geometria del nostro amore, il teorema degli spazi, l’assioma del nostro stare insieme. E fatta così riesce anche a piacermi .