Le parole sono importanti, si diceva in un famoso film.
Io cerco sempre di sceglierle con cura, come in un mazzo di girasoli quando si cerca il fiore più bello.
Provo a maneggiarle con delicatezza, a volte le passo da una mano all’altra come patate che scottano, ma cerco di non scagliarle mai perché fanno l’effetto del sasso lanciato sul vetro. Lo rompono.
E io, a costo di passare alla storia come la madre più noiosa- cosa peraltro non del tutto lontana dal vero, ché su certe questioni sono pesante come l’uranio- sfinisco i miei figli da sempre affinché pensino prima di parlare, scelgano il termine più adatto e possibilmente il tempo verbale giusto, perché poche cose intristiscono come un congiuntivo mancato.
Come i colori, anche le parole hanno la giusta sfumatura e tonalità, che si accorda con qualcosa e stona con un’altra.
È più difficile scegliere le parole da tacere che quelle da dire, perché costringe chi parla a fermarsi, pensare e soppesare.
Le parole hanno un femminile e un maschile, un singolare e un plurale, sinonimi e contrari, una origine ma soprattutto un significato.
Per ogni pensiero che desideriamo esprimere ce ne è una da scegliere, coi bordi che combaciano come la tessera di un puzzle messa al posto giusto.
Le parole povere non esistono, semmai ci sono parole usate con sciatteria e incuria.
Ci sono parole che stonano, come note sbagliate.
Non c’è vento abbastanza forte da spazzare via delle parole cattive dalla memoria.
Non ci sono parole buttate al vento, semmai parole che il vento porta lontano.
Parole come composizioni o combinazioni, incastri o incanti, melodie o rumori.
Frasi fatte di parole radunate e ordinate, da tenere in tasca o nel cuore. Parole con cui giocare, da combinare e scambiare.
Parole poco pensate portano pena, ha imparato mio figlio in terza elementare.
E pensare poche parole porta più pena, ha aggiunto la piccola.
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