“Mamma, posso stare davanti?”
“Va bene, piccola. Basta che non cominci a trafficare con l’autoradio e alzare il volume sulle canzoni tamarre”
“Uffi, che pizza”
“Ah, dimenticavo: guai a te se tiri giù il finestrino di fianco a un ciclista urlando “ciao belle chiappette” come hai fatto questa estate dopo averlo visto in una puntata dei Simpson”
“Vaaaa beneeeee”
Comincia così, accendendo la macchina e facendo manovra. Senza pensarci, prendi una manina piccola con le unghie da tagliare, la metti sul cambio, ci appoggi sopra una mano più grande, con lo smalto da ritoccare, e fai finta che alla guida ci sia lei, la più piccola. E ti accorgi che quel gesto lo hai imparato tanti e tanti anni fa, quando il tuo papà, all’arrivo dal lavoro, ti faceva sedere in braccio a lui mentre metteva in garage la macchina e tu stringevi fiera il volante, diventata grande tutta in un colpo. O quando, anni dopo, la domenica all’alba nel parcheggio dello stadio, a parti invertite stavi al posto di guida con la mano sul cambio, e la mano grande di papà, appoggiata sulla tua, ti guidava nel primo guidare.
Gesti che sono ricordi, insegnamenti replicati a fare una tradizione. Che se per qualcuno (me) è commovente, per altri (i fratelli seduti dietro) è sconcertante.
“Fratelli! Sto guidando! Vi porto io dalla nonna!”
“Io scendo qui, grazie”
“Guarda! Un ciclista!”