Questi primi dodici anni in veste materna hanno svelato lati del mio carattere e piegature della mia personalità che neanche in una vita di analisi transazionale avrei fatto mai venire alla luce.
Ho già detto e raccontato della mia avversione ai parchi gioco dei giardinetti, dove ho trascorso i miei giorni migliori dividendomi tra una sabbionaia “mamma, ho fatto un castello, adesso ci metto il laghetto” “fermo e non toccare! È la cacca di un cane”, la spinta a un culetto appoggiato sull’altalena “più veloce mamma, forza con quei muscoli che tocco il cielo!”, le ennemila scivolate con le braccia alzate “mamma, GUARDAMI!!”.
In tutta onestà io non mi diverto nemmeno nei parchi tematici per colpa della mia storica paura delle altezze. Lo scorso anno, in vacanza alla Mecca dell’intrattenimento, Dineyland Paris, ho evitato per un soffio una crisi di panico quando ho scoperto, dopo quaranta minuti di fila ordinata, che il Mondo di Nemo non era una tranquilla passeggiata tra i pesci ma una spaventosa attrazione di montagne russe al coperto, e sono stata costretta a salirci mentre le mie bambine mi tenevano le mani dicendomi di respirare piano.
Non è una novità che probabilmente mi manchi il gene del gioco, perché un pomeriggio passato tra peluches da visitare e bambole da vestire mi provoca inevitabilmente crisi di narcolessia. Ma più delle altalene, più ancora dell’ Oblivion e del Blu Tornado, vado in cerca di fuga quando i miei figli, la mattina, mi raccontano cosa è accaduto loro durante la fase REM. Ascoltare infinite descrizioni di sogni è una punizione che non augurerei nemmeno al vicino che rallegra i miei pomeriggi nel vano tentativo di imparare a suonare il flauto traverso. “Allora, nel sogno eravamo tutti nel tuo bagno, c’era un unicorno..no aspetta forse era un cavallo..un asino! Ecco cos’era! Comunque. Eravamo tutti nel tuo bagno e poi l’asino si è trasformato nel gatto e voleva la pappa e.. Dov’ero rimasta? Mamma??? Mi stai ascoltando?”
I racconti sono confusi, frammentati ma soprattutto lunghi, tanto lunghi, mediamente sui quindici minuti l’uno e, moltiplicato per tre, fa che per ascoltarli tutti dovremmo alzarci alle cinque del mattino.
Quindi ci ho ripensato: al vicino col flauto traverso glielo auguro davvero.
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