
Una crepa separa due parti. La fenditura non può essere riparata da sola.
Si crepano vasi, muri, i bicchieri. Non si crepa un’arancia, un cuscino, un cuore.
Quello ci sembra, ma non lo fa davvero.
Le crepe sono diverse dalle ferite. Queste ultime, col tempo, cicatrizzano. Spontaneamente rigenerano tessuto sano.
Le crepe rimangono vuote. Quelle dei muri, nel tempo si allargano e minano la stabilità di una struttura.
I bambini e ragazzi in affido spesso nascondono crepe. Un abbandono, una crepa. L’incuria, una crepa. La violenza assistita, quella subita, l’abuso. Altre crepe.
Il kintsugi è quella tecnica giapponese che ripara le crepe della ceramica con l’oro. Rende visibile e bello ciò che è stato rotto. Ci dice che le fratture possono diventare trame preziose. Che si deve tentare di recuperare, e nel farlo ci si guadagna.
Le famiglie affidatarie sono fatte di quell’oro, che giorno dopo giorno, con pazienza e fatica, colma crepe generate da altri. Da chi, spesso, questi bambini li ha davvero generati. Un oro che cola una goccia alla volta, fuori da una scuola ogni giorno alla stessa ora, seduti accanto a un capriccio per i compiti, con la storia della buonanotte, l’accompagnamento dagli amici in un’altra città, il lavoretto per la festa della mamma, regalato a quella biologica, l’accoglimento di un dolore troppo grande per loro e a volte anche per noi.
Goccia a goccia, tanto che ci vuole del tempo per accorgersi che si è fatto davvero un bel lavoro. Che quel bambino o bambina, ragazza o ragazzo, può diventare una versione migliore di sé.
E noi con loro.