14-24
La vita non va sempre come vorremmo.
Non lo fa con le questioni di primaria importanza, figuriamoci con amenità quali le vacanze. E non vale essere reduci da un trasloco nell’estate più calda o da un periodo particolarmente faticoso.
La vita non è mica risarcitoria, in alcun ambito.
Quest’anno avremmo dovuto essere altrove, invece è andata diversamente.
Dopo lo sconforto cosmico e il suo compagno scomodo, il senso di colpa -di cosa ti lamenti, con tutto quello che di bello hai fatto e farai, pensa a chi sta peggio- mi sono riaffidata al mio capo branco preferito, nonché compagno di vita e di (dis)avventure.
Il nostro viaggio comincia qui, in un ferragosto pigro, dentro una faggeta che si apre su un panorama di blu e verde.
Senza sapere ancora quale sarà la prossima tappa del nostro viaggio.
Un’unica certezza: non sarà a piedi.
In attesa di capire come proseguirà il nostro viaggio il fidanzato, preso dai sensi di colpa verso la sconsolata creatura che gli sta accanto, ieri sera ha esclamato greve “domani si va al mare”
Il mare, destinazione tanto amata da lei quanto osteggiata da lui.
Una giornata in spiaggia, per il mio compagno di vita, ha lo stesso appeal di un vocale su whatsapp di quindici minuti, un piatto di peperonata o il gatto che sale sul letto.
Pertanto i due, muniti di crema solare cinquanta e un sacchetto di albicocche della coop, sono approdati al bagno Boa sorte di Tarquinia.
Alle ore diciassette.
Le ore di oggi vanno dunque ad aggiungersi a una mattina di spiaggia durante la vacanza in Albania, e un breve bagno in quel di Camogli.
Quasi una giornata intera, in realtà.
Lui dice di avermi portato al mare per anni, invece.
Certo, era il mare artico.
Nel 79 dc, racconta Plinio il vecchio, una spaventosa eruzione ricoprì le città di Pompei ed Ercolano, consegnando alla storia l’insieme di reperti più ricco e preciso sull’epoca dell’antica Roma.
Il sito archeologico è fonte inesauribile di notizie su quest’epoca antica, e ci racconta come per i pompeiani fosse importante tanto il commercio quanto il benessere, attraverso la cura del corpo, il teatro, i lupanari.
Leggenda narra che ci fosse una coppia, lei coi capelli rossi e tanta voglia di andare al mare, lui coi ricci pazzi, la barba e una gran voglia di camminare.
Quell’anno la provincia partenopea era calda come la campagna cambogiana, ma i due, invece che godersi l’aria condizionata e i saldi del centro commerciale Neapolis, decisero di fare un tour guidato per le rovine di Pompei.
Dopo due ore di cammino rimane di loro solo una immagine. Forse si sono liquefatti dal caldo o, ed è l’ipotesi più accreditata dagli archeologi, lei ha consegnato l’amato alle belve, nell’anfiteatro.
Mancavamo solo noi.
C’erano stati Jennifer Lopez e il marito, i Ferragnez, Lebron James.
Stamattina, dopo una agevole corsa col bus e una movimentata navigazione in aliscafo, siamo sbarcati a Capri.
Passeggiando per i vicoli, bevendo granite al limone e comprando magneti di dubbio gusto per il frigo della cucina.
Una volta tornati sulla terraferma il capo gita, nonché mio fidanzato e compagno di vita, ha quindi proposto di andare in spiaggia. Una caletta meravigliosa raggiungibile con una passeggiata nel bosco.
Peccato che la strada fosse in picchiata. Buttarsi con un paracadute sarebbe stato più semplice.
A ogni passo scosceso su quella pietrosa e infinita discesa corrispondeva un mio sospiro, lamento e capriccio all’idea di doverla ripercorrere al contrario.
Arrivati nella meravigliosa caletta -FAI – Baia di Ieranto-ci siamo goduti un lungo bagno e il sole tiepido della fine del pomeriggio.
Prima di risalire, mi ha scattato una foto.
Per la lapide, presumo.
In qualche modo che non saprei spiegare, senza l’intervento dei vigili del fuoco né della protezione civile, siamo risaliti.
La foto comunque la tengo, non si sa mai.
Sorrento è gialla, come i limoni, i vestitini e il sole.
Vagabondando per vicoli e piazzette, il fidanzato capo gita ha assaggiato quello che doveva essere il più buon gelato della città ma che lui, il Tripadvisor delle gelaterie, ha liquidato con una scarsa sufficienza.
Siamo capitati nel bel mezzo di un matrimonio, sposi e invitati probabilmente inglesi sobri nell’abbigliamento quanto nel consumo di alcool.
Vivere in una città sopra alla scogliera deve essere senz’altro scenografico e suggestivo, ma mannaggia la morte ti spezza il fiato e la volontà coi suoi millemila gradini.
Al pomeriggio, come ormai consueto, ci siamo recati baldanzosi al mare. Purtroppo il dislivello era solo di ottanta metri e abbiamo dovuto accontentarci di una ripida salita asfaltata.
Cammina cammina, siamo approdati a Coccia de Morto, uno stretto lembo di terra ricoperta di sassi appuntiti, come camminare su un tappeto di mattoncini di lego, e di una umanità varia e variegata.
Il piccolo Leonardo, aggrappato al suo salvagente rosa, chiedeva di andare a nuoto fino al Vesuvio.
Il mare, di un blu da dipinto, si immaginava tra un’onda di tsunami e l’altra.
Domani lasceremo la penisola sorrentina, diretti verso nuove spiag…cammini.
A grandissima richiesta-si dice così pure se non ha lo ha chiesto nessuno-torna la rubrica estiva dei miti.
Oggi siamo a Ravello.
Leggenda narra che questa zona fosse abitata dalle janare, streghe né benevole né maligne ma che eviterei anche su Tinder.
Le Janare pare avessero una certa empatia con tutte le donne, specialmente con quelle che soffrono. Questa zona è sempre stata un borgo di marinai e capitava spesso che gli uomini mancassero da casa per mesi. Poteva succedere, dunque, che una moglie abbandonata dal marito pescatore provasse tanta frustrazione da trasformarsi in una Janara.
Acquattate in cima agli alberi a ridosso della costa e vestite solo con lunghe camicie da notte, le Janare attendevano le imbarcazioni dei pescatori e una volta avvistate, tac! Cercavano di attirare l’equipaggio in ogni modo con canzoni, dolci parole o mostrando le proprie nudità. Con i pescatori caduti nella trappola le Janare consumavano un rapporto sessuale, e peggio della mantide religiosa, offrivano le vittime al mare: insomma, li affogavano. Stessa sorte che toccava ai mariti che non portavano le mogli all’ikea.
Ma questa è un’altra storia.
Vostro onore, io l’amavo quest’uomo.
Anche quando, pur essendo al mare, siamo andati a dormire in un paesino di montagna.
Anche quando ha preparato lo zaino, dove ha messo le bacchette da cammino e i costumi da bagno, ché la destinazione finale era la spiaggia.
Poi abbiamo imboccato il Sentiero degli Dei.
Vostro onore, sa perché si chiama così? Perché ti porta a piedi in dieci chilometri a Positano -anche gli Dei avevano problemi di parcheggio- e quando scendi gli ennemila gradini evochi e invochi tutta la mitologia, da quella scandinava a quella Inca, fino a scomodare San Rocco, protettore delle articolazioni.
Sì vostro onore, è vero che sono stata io a nominare il sentiero degli Dei, dicendo che sarebbe stato bello. Ma non sono credibile quando dico certe cose, è un po’ come ammirare sulle riviste ville da sogno e abiti scintillanti: belli, ma mica li vorrei.
Vostro onore, io l’amavo quest’uomo.
Mi affido alla clemenza della corte.
In un piccolo Despar, nella assolata provincia campana.
È passato da poco mezzogiorno, i clienti popolano i tre corridoi del supermercato, chi in costume e ciabatte, qualcuno coi bimbi al seguito che litigano su chi porta la fetta di anguria.
Al banco gastronomia, salumeria e panetteria, la signora Silvana ascolta paziente la famiglia dall’altra parte del vetro. Chi vuole il panino con treccia e crudo, chi due fette di pomodoro che è uno spettacolo, chi ma che belle quelle melanzane, ci stanno bene col cotto?
Attendo il mio turno e scalpito, la mia anima lombarda efficiente e multitasking vorrebbe essere già alla cassa a pagare.
Poi un signore che sta scegliendo la frutta fa una battuta sugli uomini, la signora Silvana ride, interviene un altro avventore e il buonumore contagia un po’ tutti. La cassiera commenta che l’aria condizionata fa più male che bene, una mamma con una bimba bionda accanto annuisce convinta.
Nessuno ha fretta, chiacchiere e risate sono il sottofondo.
L’anziano signore davanti a me decide finalmente di volere i funghetti -giusto due, per vedere se mi piacciono- e viene il nostro turno di scegliere come farci farcire il panino dalla signora Silvana.
Di tutti i regali che mi ha fatto il tempo in questi luoghi, il più prezioso resta questo.
L’attesa di un panino, silenziare quella parte di me che considera la velocità una virtù.
Quando torno a casa ci provo, alla Tigros della mia città.
Magari rallento un po’.
La leggenda del giorno ci porta ad Agropoli, e racconta di quando i Saraceni sbarcarono sulla costa.
Ai tempi vi era una sola donna, Ermegalda. Nonostante il suo viso dal colorito verde, era di bell’aspetto e divenne ben presto la donna più bella della cittadina. Facile, quando sei l’unica. Le leggende narrano, però, che nonostante le sue origini nobili, si innamorò di un umile pescatore Il suo viso iniziò così a mutare, diventando rosa, ricalcandone l’amore e l’affetto. Una tempesta, però, non risparmiò il suo amato, facendolo soccombere nelle acque buie di questo mare. Passarono tre giorni e tre notti, ma egli non tornò. Secondo la leggenda, Ermegalda si buttò da una rupe, per porre fine alla sua vita così drammatica. Il dio del mare, però, decise di salvarla, trasformandola in una ninfa.
Insomma, da Fiona di Shrek alla sirenetta. Ancora oggi, tuttavia, con l’eco delle onde del mare, riecheggiano le sue urla disperate.
Oggi ho imparato la più grande lezione di pazienza della vita.
Nella grotta di Auletta Petrosa, provincia di Salerno, unica nel suo genere perché si entra su una barca, traghettati dallo speleologo Caronte sul fiume sotterraneo Negro.
Lungo il percorso all’interno della montagna si incontra una formazione calcarea particolare: il signor stalattite sta per baciare la signora stalagmite.
Mancano pochi millimetri, che si stima verranno colmati in una ventina d’anni. Per avvicinarsi così tanto ce ne sono voluti ventimila.
E io che mi lamentavo dell’attesa per un panino alla mortadella.
Finisce qui il nostro vagabondare al sud. Colmi di bellezza, gratitudine, e un panino con salsiccia e carciofo bianco che probabilmente finirò di digerire a natale.