È seduta per terra, sul pavimento della sala, davanti al camino, tra cacciaviti e martello.
Di fronte a lei la piccola regge le istruzioni come le procaci fanciulle che passano sul ring col numero di round.
Il primogenito è sul divano con le cuffiette nelle orecchie e il cellulare in mano, la sua presenza con noi è il massimo della collaborazione che possiamo aspettarci. È sereno perché ha ottenuto il permesso di andare a una festa in un locale, anche se mi è costato un patteggiamento con tutti i principi educativi di cui mi faccio vanto.
Ma la genitorialità in adolescenza è fatta di negoziazione perenne, come alle nazioni unite nei periodi di guerra.
Il gatto dorme sul cartone aperto della libreria che la mezzana sta montando, con una manualità senz’altro ereditata dalla nonna materna.
C’è la musica in sottofondo, perché la nostra è una casa che non conosce silenzio.
Nel forno cuoce un polpettone che probabilmente non verrà buono, ma l’importante è partecipare, mica vincere, e poi non si può mica saper fare tutto.
Io finisco di sistemare la cucina mentre il grande prende in giro la piccola per la pancia e lei grida scocciata.
Intanto penso che la gratitudine a volte somiglia molto alla felicità, che è fatta di amore e grazia e anche di un odore di bruciato che viene dal forno.
Di presenze e voci, di un mobile dell’ikea, di un gatto rotondo, la descrizione di un attimo perfetto, nonostante tutto.